sabato, settembre 30, 2006

Sotto pressione

Ultimamente lavoro molto, e ho sempre meno tempo per cucinare. Ma non voglio arrendermi alla dittatura dei "4 salti in padella", un po per ragioni "ideologiche" un po per motivi di salute ed anche perchè, sia pure una piccola cosa, ma preferisco comunque cucinarla.
Uno strumento che a mio parere viene grandemente in aiuto della donna che lavora, è la pentola a pressione, oggetto che dopo anni di onorato utilizzo, continuo ancora a guardare con sospetto per via degli spaventosi rumori che emette e delle inquietanti leggende metropoliotane che circolano circa sue fantomatiche quanto clamorose esplosioni.
Ma se non avessi lei, non potrei praticamente mai cucinare i legumi. Certo, ci sono quelli precotti in barattolo, ma oltre a costare più del doppio di quelli secchi, sono incredibilmente meno saporiti. Il solo inconveniente è rammentarsi di metterli a bagno la sera prima (solo le lenticchie decorticate non necessitano di questo processo). Al mattino successivo, mentre ci si prepara per andare al lavoro, si possono cuocere nella suddetta pentola a pressione con acqua e qualche aroma, ed essere conservati, dentro o fuori dal frigo a seconda della temperatura, per essere gustati dai più fortunati a pranzo (che lusso tornare a mangiare a casa dal lavoro...) da chi lo è meno, a cena.
Questa è una Zuppa di "fagioli con l'occhio" con aglio e alloro e bruschette con "olio santo" , piatto che è veramente piacevole trovare a cena nelle serate invernali, sopratutto per chi, come me, va a lavoro con svariati mezzi pubblici e molto lontano da casa. Per 4 persone occorrono:
  • 300 gr di fagioli secchi
  • qualche foglia di alloro
  • due spicchi d'aglio in camicia
  • pane integrale un po secco
  • olio santo (olio evo con peperoncino piccante macerato dentro)

Mettete la sera prima i fagioli a bagno in abbondante acqua senza sale e bicarbonato. Al mattino seguente (devono essere passate almeno 8 ore) scolateli e metteteli nella pentola a pressione con sue spicchi d'agio e l'alloro e 500 gr di acqua. Incoperchiate e cuocete per 20 min. dal fischio. Spegnete il fuoco, fate uscire il vapore e a questo punto o impiattate o conservate. Servite con il pane bruschettato con sopra l'olio santo.

Semplice vero? Ideale per quando il lavoro, sotto pressione, ci mette voi!

giovedì, settembre 28, 2006

Riciclaggio

No, non mi sono data ad attività illecite. Malgardo la mia provenienza partenopea suggerisca i più biechi luoghi comuni, le mie attività sono tutte legali...oddio non proprio tutte, ma diciamo certamente tutte non criminose.
Detto ciò, il riciclaggio a cui mi riferisco, è quello della famosa marmellata al rabarbaro, ricordo di viaggio e oggetto di un post precedente.
A mio marito non piace, la trova troppo dolce, forse perchè abituato a quelle autoprodotte da La Cuoca e fatte con un rapporto di 2:1 fra frutta e zucchero. fatto sta che sono stata costretta a inventarmi questa Crostata al rabarbaro e mandorle per non doverla mangiare tutta da sola.
Il risultato è interessante, bello croccante e non eccessivamente dolce. Per l'assemblaggio mi sono ispirata ad una torta di noci spettacolare (che prima o poi posterò) che fa la mia amica Anna C.
Per confezionarla vi occorrono:
  • 300 gr di pasta frolla (offro sempre ricetta a chi la volesse)
  • 200 gr di marmellata al rabarbaro
  • 150 gr di mandorle sgusciate ma non spellate
  • 1 uovo
  • 2 cucchiai di farina
  • 1 noce di burro

Imburrate uno stampo da crostata. Stendete la pasta piuttosto sottile, foderate lo stampo dando un po più di spessore ai bordi. Sciogliete la marmellata con qualche cucciaio d'acqua a fuoco dolcissimo e versatela nella frolla già stesa nello stampo. Passate al mixer le madorle e distribuitele sulla marmellata. Montate l'uovo e lo zucchero e versatelo sulla crostata pennellando fino ai bordi. Infornate a 180° per 20 minuti circa. Attendete che si raffreddi per sformarla.

Ideale per mariti viziati.

martedì, settembre 26, 2006

Perdono

Chiedo perdono. Perdono ai siciliani tutti, al maestro Camilleri che tanto seppe diffusamente parlarne nella sua più sublime versione, a voi lettori. Perchè quella di oggi è una delle più orrende travisazioni che possano compiersi: quello che io chiamo "processo di lightizzazione" applicato a un piatto che per sua stessa definizione deve essere pesante come il piombo.
Ma purtroppo non è sempre domenica, e le melanzane da consumare sono troppe per declinarsi quotidianamente in parmigiane e piatti di altrettanta "sostanza" senza che a loro nulla venga sottratto.
E dunque con il capo cosparso di cenere, ma tre chili in meno sulla bilancia, propongo qui non senza vergogna, una Pasta 'ncasciata light per la quale occorrono per 4 persone:
  • 300 gr di rigatoni grossi
  • 2 melanzane tonde
  • 4 cucchiai rasi di pecorino grattugiato
  • 150 gr di caciocavallo fresco
  • 600 gr di pomodori sammarzano
  • abbondante basilico
  • mezza cipolla
  • 1 carota piccola
  • 4 cucchai di olio evo

Fate bollire dell' acqua, tuffateci per qualche secondo i pomodori, spellateli e poneteli con la mezza cipolla, la carota e l'olio in un tegame e cuocete a fuoco lentissimo per 30 minuti. Nel frattempo grigliate le melanzane tagliate in fette tonde (non è necessario far perdere loro l'acqua di vegetazione a meno che non abbiano molti semi). Cuocete la pasta in abbondante acqua salata, scolatela molto al dente e rimettetela nella pentola dove la mescolerete con il sugo di pomodoro scartendo la carota e la cipolla ( e del quale ne lascerete un po in pentola), abbondante basilico spezzettato con le mani e il pecorino. Con il sugo rimasto bagnate una teglia da forno, e foderatela con le fette di melanzana, versateci dentro la pasta e copritela con il caciocavallo (io lo faccio tagliare a fettine sottilissime tipo sottiletta anzichè a pezzetti perchè fonde meglio). Infornate a modalità grill fino a quando la pasta non si sia colorita e il formaggio sciolto.
E ora aspetto il giusto dileggio siculo!

giovedì, settembre 21, 2006

Anticipo d'autunno

Curiosando negli altri food blog, sopratutto in quelli appartenenti ad altre latitudini, mi accorgo che cominciano comparire piccoli accenni d'autunno nei piatti proposti.
Qui invece le temperature superano facilmente i trenta gradi, le zanzare la fanno ancora da padrone e le scarpe chiuse sono un miraggio dentro la scatola più difficile da raggiungere.
Però, comincio a sentire la voglia di una zuppa, di quelle che d'inverno curano tutti i mali, che aneli quando sei per strada sotto la pioggia e sogni il tepore di una stufa e delle scarpe asciutte.
L'ingrediente principale, la zucca, è ancora fresco, estivo per il suo alto contenuto d'acqua, ma il brodetto dove galleggia, penso sia un ottimo ristoro anche nel periodo autunnale.
Questa Zuppa di orzo e zucca, assolutamente dietetica ma non per questo meno gustosa, per 4 persone si prepara così:
  • 400 gr di zucca
  • 200 gr di orzo perlato
  • 1 spicchio d'aglio
  • 1 rametto di prezzemolo
  • 1 peperoncino piccante
  • 5 cucchiai di olio evo
  • sale grosso

Ponete l'orzo in una pentola con il fondo grosso, coprite con il doppio della sua quantità d'acqua (400 gr per 200 gr di orzo), incoperchaite e fate cuocere a fuoco lento per 25 minuti. Soffriggete appena nell'olio l'aglio e il peperoncino (se avete bambini, a cui lo consiglio perchè per loro è un ottimo piatto, aggiungetelo dopo) e aggiungete la zucca e 200 gr di acqua (la metà della quantità della zucca). Incoperchiate e cuocete per 20 minuti a fuoco medio. Scoperchiate l'orzo, che dovrebbe essere pronto quando l'acqua si asciuga e finitene la cottura per 5 minuti nella pentola con la zucca. Servite con una spolverata di prezzemolo tritato, tiepido in estate, ben caldo in inverno.

Intanto fa ancora caldo...altro che foglie secche, qui tocca raccogliere conchiglie anche in autunno!

mercoledì, settembre 20, 2006

Ad ognuno il suo

Mi accorgo che tra le mie recenti "fatiche" qui pubblicate, scorre un "filo rosso"; rilevo infatti che sono state tutte "ispirate" o quanto meno collegate a quelle di altri food blogger.
Dal rabarbaro dello Strudel, ai riflessi dei peperoncini, c'è negli ultimi post un continuo richiamo ad altre delizie della rete. Mi piace questo "gioco di specchi", e ho voglia di prolungarne gli effetti prendendo qui, addirittura, "tre piccioni con una fava".
Con questa Quiche di indivia belga e speck infatti, rispondo al meme di Graziella , riprendo il tema dei ricordi di viaggio che ha caratterizzato le mie ultime chiacchiere e sopratutto proseguo il discorso di Daniela sulla qualità dei "prodotti tipici". Infatti questo piatto, di rapida realizzazione e perfettamente trasportabile come richiede il tema del meme che è "take away", è fatto con dello speck della foresta nera che, souvenir del recente "viaggio verso nord", ispira più di una riflessione sulla differenza che c'è fra un prodotto industriale e uno locale.
Così come per la mozzarella di cui Daniela ci parla, anche per lo speck vale la regola: "azz, ma questo era il sapore vero?", stupefatta esclamazione che caratterizza il primo assaggio del "prodotto autentico" dopo anni di "mbrosatura" (leggasi truffa) da parte del tuo salumiere.
Vi occorrono dunque:
  • un rotolo di pasta brisè pronta (se take away deve essere, take away sia!)
  • 4 cucchiai di olio evo
  • 1 dl di brodo vegetale
  • 6 cespi di indivia belga
  • 200 gr di speck in un unica fetta
  • 3 uova
  • 100 gr di caprino
  • pepe macinato al momento
  • 1 cucchiaio di parmigiano.

Tagliate lo speck a "filetti" lunghi 3 cm e rosolateli nell'olio in una capace padella. Pulite e tagliate l'indivia e quando lo speck di è colorito, versatecela sopra, rosolatela per bene e sfumatela con del brodo vegetale. Incoperchiate e fate cuocere per 15 min. Pennellate di olio uno stampo da quiche piuttosto basso e foderatelo con la pasta brisee. Nel frattempo mescolate le uova, il parmigiano, il caprino e un abbondante macinata di pepe. Ponete il composto di speck e indivia nella pasta, e ricoprite con quello di uova pennellandolo anche sui bordi della pasta che avrete risvoltato. Infornate a 180° per 20 minuti. Sfornate e trasportate dove credete (nella teglia è meglio anche se si sfoma con grade facilità).

Dimenticavo, il salumiere "truffatore" sotto casa, ha dello speck agghiacciante, ma ha "la meglio mozzarella di Napule"... come si dice? Ad ognuno il suo!

lunedì, settembre 18, 2006

Ricordi di viaggio

Fra i ricordi di viaggio che più frequentemente porto con me, ci sono quelli delle ricette tipiche. Spesso, quando ho difficoltà con la lingua, mi sforzo di rintracciarle assaggio dopo assaggio, altrimenti domando e prendo appunti o acquisto qualche libro "in lingua originale".
Altrettanto spesso, porto via con me ricordi più "materiali" sotto forma di prodotti locali che una volta arrivata a casa, attendono "l'occasione speciale" per essere consumati.
Questa estate nella mia "risalita verso nord", ho collezionato diversi "souvenir" del genere, fatta esclusione per il libro di cucina, perchè di un libro scritto in tedesco, davvero non saprei cosa farmene. Sia chiaro, non sto biasimando i libri tedeschi anzi! Moltissime cose interessanti, dalla teoria della relatività, alla caduta tendenziale del saggio di profitto fino al complesso di Edipo passando per il Super Uomo e la ricetta della Sacher torte, sono state scritte in questa lingua. Il problema è che io non solo il tedesco non lo so, ma sono anche completamente incapace di cercarne, causa le sue complesse costruzioni e la mia inadeguatezza cronica con le lingue, la traduzione corretta sul dizionario.
E' stato quindi piuttosto complesso cercarre di carpire a Merano, la ricetta dello Strudel. Si lo so che Merano è in Italia, ma vi assicuro che ho avuto meno difficoltà ad ordinare un pasto o fare acquisti a Friburgo!
Tra i ricordi di viaggio che ho portato via da questa splendida città, c'è la marmellata di rabarbaro. Era tanto che desideravo cimentarmi in una ricetta che la contenesse.E questo perchè molti di voi, qualcuno fra tanti Fior di zucca e L'archiniere, mi avevano ricordato questo gusto amarostico della mia infanzia, il gusto delle caramelle che mia nonna teneva in un grande armadio con lo specchio.
Tanto per tenere insieme una ricetta e un ingrediente, entrambi ricordo dello stesso viaggio, ho provato a fare un Strudel con marmellata di rabarbaro e pere, perchè le mele della ricetta tradizionale mi convincevano poco messe insieme con il rabarbaro. Si chiaro che questa è una ricetta più che apocrifa, in quanto lo Strudel originale, non solo non prevede alcuna marmellata, ma deve anche essere "croccantino". Infatti a questo scopo, viene introdotto del pangrattato per assorbire "l'umido" delle mele. La marmellata dunque, che di per se tende a "bagnare" la pasta, non ci dovrebbe stare, ma se il prodotto viene consumato rapidamente - e io sapevo che lo sarebbe stato - mantiene ugualmente una certa consistenza.
Per la pasta, che non è ne sfoglia ne frolla, vi rimando qui , dove il risultato è piuttosto attendibile rispetto ai miei assaggi Meranensi, e molto più chiaro perchè espresso in italiano. Per il ripieno vi occorrono.
  • 1/2 Kg di pere "spadone" mature pulite (quindi circa 3/4 di Kg considerando bucce e torsoli)
  • 2 cucchiai di gocce di cioccolato fondente
  • 4 cucchiai di marmellata di rabarbaro
  • 1 uovo
  • zucchero a velo
  • 1 cucchiaio d'olio

Ungete della carta da forno, stendeteci la pasta con uno spessore di circa 3-4 mm. Tagliate le pere a pezzetti e mescolatele con le gocce di cioccolato rigorosamente fondenti. Il gusto "tannico" del cioccolato nero sposa bene il rabarbaro, meglio delle uvette e pinoli previste tradizionalmente. Arrotolate lo Strudel facendo attenzione che la pasta non si rompa. Chiudete bene i lembi e pennellate la superfice con l'uovo sbattuto. Ponete con attezione in forno già caldo, sollevandolo assieme alla carta sulla placca, a 180° per mezz'ora circa. Sfornate e spolverate di zucchero a velo.

P.s. non ho mai ritoccato nessuna delle foto del Blog. Stavolta l'ho fatto dando allo sfondo questa tonalità rosacea...non trovate che sia quasi un color rabarbaro?

venerdì, settembre 15, 2006

"Riflessioni"

Le "riflessioni" di cui parlo qui, non sono quelle della "testa" ma quelle che, nell'immediato invisibili agli occhi, spesso si materializzano dopo lo scatto nelle nostre fotografie. Lo so che magari si chiamano riflessi e non riflessioni, ma il titolo equivoco mi divertiva.
Come nelle nuvole o nei fondi di caffè, ognuno ci vede qualcosa, dai fantasmi per chi ha parecchia fantasia ed altrettanto tempo da perdere, al muro del palazzo di fronte per gli accecati dalla ragione.
Mi ha ispirato quest' argomento, la bella immagine riflessa in uno degli ultimi post di Francesca nella quale il mio vigile occhio (sig!) ha colto subito la facciata del romano Porto di Ripetta prima ancora del meraviglioso plum cake ricotta e farro che campeggiava in primo piano. Ed io che mi credevo più cuoca che architetto!
A proposito di immagini riflesse nei blog di cibo e dintorni, non fatevi sfuggire questa postata da RoVino, stavolta senz'altro intenzionale ma decisamente più interessante dell' anta del balcone che si intravede nella padella da me fotografata qui sopra.
Più significativi invece, mi appaiono questi classicissimi - per la cucina partenopea - Peperoncini verdi saltati, non so perchè definiti "frigitelli" o "friarielli", appena si oltrepassano le porte di Napoli dove invece, rigorosamente, il friariello è una varietà di broccoli tutta campana.
Per prepararli vi occorrono
  • 1/2 chili di peperoncini verdi dolci
  • 1 peperoncino rosso piccante
  • olio evo (quantità variabile)
  • 5/6 "pomodori del piennolo" o pachino per chi non ha il suddetto "piennolo"
  • 2 spicchi d'aglio
  • sale

Ponete in una capace padella una quantità di olio inversamente proporzionale alla vostra voglia di mettere quel bellissimo vestito di due taglie in meno che giace da tre anni orfano nell'armadio. Sappiate che così come per le droghe e un altro paio di cose divertenti della vita, l'effetto finale del piatto, sarà tanto più significativo, quanto maggiore sarà la quantità adoperata del sudetto diabolico elemento. Io che ormai sono diventata una tranquilla signora senza estremismi, mi sono attestata su i 6 cucchiai di olio, uno per ogni 100 gr di prodotto più uno "per la pentola". Soffriggeteci l'aglio e il peperoncino piccante e versateci tenendo il fuoco bello alto i peperoncini verdi interi ma privati del picciolo e dei semini, operazione tediosa anzichè no. Non appena le facce dei peperoncini si saranno "soffritte", abbassate la fiamma, eliminate l'aglio ed anche il peperoncino se non amate particolarmente il piccante, aggiungete i pomodori e incoperchiate. Smuovete ogni tanto la padella e controllate, sopratutto se la quantità d'olio adoperata è modesta, che non si attacchino eventualmente aggiungendo per sfumare un paio di dita d'acqua. Lo so, mia nonna direbbe che è un sacrilegio ma lei pesava 42 chili a 94 anni e non può capire. Terminata la cottura, salate. Sono ottimi sia caldi che freddi, magari il giorno dopo e magari in mezzo a due belle fette di pane.

Se li avete gustati così, fate però attenzione al "riflesso" che di voi manda lo specchio: potrebbe essere un immagine inquietante!

giovedì, settembre 14, 2006

Il colore viola

Adoro il colore viola, questa sfumatura quaresimale, dentro la quale si rincorrono il rosso e l'azzurro.
Il colore viola è anche il titolo di un film, uno dei miei preferiti; un film che come direbbe Nanni Moretti, "mi ha cambiato la vita", più o meno contemporaneo del Flashdance che pare l'abbia cambiata a lui.
Ma non è un film anni '80, tutt'altro. Nel tripudio di Roky e di Rambi che caratterizzava quegli anni, anni nei quali sembrava non si potesse andare cinema senza beccarsi una bella dose di cazzotti su sfondo a stelle e strisce, anni dove imperavano assieme ad orrendi scaldamuscoli i balli scatenati del già citato Flashdance e di Chorus Line , esce questo film che finalmente racconta una storia, una piccola storia individuale e al tempo stesso paradigmatica della condizione femminile - nera - nella Georgia primi '900.
Ma di questo film non amo tanto questi aspetti, quanto un idea di fondo, che mi è sembrato di scorgervi; l'idea che anche nel precipizio di una vita disperata, sia possibile trovare un angolo dove coltivare se stessi e le proprie passioni. Mi piace pensare che che si possa continuare a riconoscere la bellezza anche in mezzo all'orrore che la circonda, che l'amore sia qualcosa che può essere insegnato e che se lo si da, pazientemente, è difficile che non ci venga restituito. Celie nera, brutta, povera, stuprata, schiava, trova il modo di sopravvivere nella sua passione per il cucito, nell'amore brusco e lentamente conquistato dei figliastri, nella solidarietà dell'amica Shug Avery.
Avevo solo 14 anni quando ho visto questo film, e credo che sul serio mia abbia cambiato la vita. Magari nella dissolvenza dei ricordi tendo a sopravvalutarlo, ma so per certo di avervi riconosciuto un principio che da allora, talvolta, mi accompagna e che affido alle parole che usa Italo Calvino per concludere Le città invisibili:
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.
Viola è anche questa Tarte Tatin di prugne con gelato al fiordilatte - lo so ci ho preso gusto con le "Tatin" ma sono talmente facili e buone!
  • 1 kg di prugne viola sodissime
  • 500 gr di pasta frolla (se volete la ricetta, chiedete e vi sarà dato...)
  • 30 gr di burro
  • 3 cucchiai di zucchero
  • 250 gr di gelato al fior di latte

Tagliate a metà le prugne, ed estraetene il nocciolo ruotando le due metà in maniera opposta. in questo modo la mezza prugna resta bella intera senza segni di "scavi" per estrarlo. Lasciate la buccia, nel frattempo stendete la pasta tenendo da parte un "cordoncino" bello spesso per il bordo, ed un disco non troppo sottile per il fondo. Imburrate uno stampo da crostata antiaderente di circa 28-30 cm di diametro. Cospargetelo con i tre cucchiai di zucchero e ponete con la retina spargifiamma a fuoco vivace. quando lo zucchero caramella, potenete le prugne con la "faccia" tagliata direttamente sullo stampo, tranne che verso i bordi dove infilerete il cordoncino di pasta frolla. "Chiudete" le prugne nello stampo con il disco già predisposto, bucherellatelo appena con una forchetta e infornatelo a 180° per 20-30 min (dipende sempre dal forno) ovvero fino a quando la frolla non cuoce e il caramello strabuzza dai bordi. Estraete dal forno e sformate ancora calda anche se non bollente su un piatto da portata (pena indurimento eccessivo del caramello). Servite tiepida, con una pallina di gelato al fiordilatte sopra.

Dettaglio "fashion": pare che il viola anche il colore modaiolo di questo inverno, acquistatelo a iosa dunque...a meno che non abbiate l'abonamento al teatro!

martedì, settembre 12, 2006

Ci sto prendendo gusto!

Come sapete La Cuoca Rossa è a dieta. E la Tarte Tatin dell' ultimo post, direte voi? Beh quello è la concessione della settimana, e comunque a base di frutta.
Per la verdura invece, altro cavallo di battaglia di ogni dieta che si rispetti, non mancano le fonti di ispirazione. La cucina napoletana, e meridionale in genere, come tutte le cucine povere è ricca di ricette dove il massimo delle proteine animali che potete trovare è una acciuga. L'inconveniente - in senso ipocalorico ovviamente - è che nella maggior parte dei casi le preparazioni, prevedono ripieni a base di ingenti quantità di pane, pecorini non propriamente light, noci, olive e altre delizie della terra un pò più "consistenti" di una foglia di lattuga. Ma ciò che rende delle bombe caloriche, quelle che in apparenza dovrebbero essere "innoque" ricette vegetariane, è la modalità di cottura consistente nella maggior parte dei casi, nella frittura.
Questa ricetta, che tradizionalmente a Napoli viene detta "Mulignane a scarpunciello" (ovvero Melanzane a "scarpetta" per la forma a "pantofolina" che assume la melanzana quando viene tagliata in questo modo), prevede la frittura della melanzana e il ripieno di melanzana stessa, soffritto con pomodorini e aglio un po' come per le melanzane a funghetto.
Mi è venuta in aiuto però la cucina araba, mediterranea anch'essa e dunque un po' parente di quella della mia terra, e la modalità di cottura della melanzane nella ricetta del
Baba Ghannouj; l'unica differenza è che la melanzana non deve disfarsi e dunque la sua cottura, dura circa un terzo rispetto a quella prevista dalla ricetta orientale. Dunque vi occorrono - per 4 persone se è un contorno, 2 se è un piatto unico-
  • 4 melanzane viola e lunghe
  • 2 fette di pane integrale
  • peperoncino piccante
  • 2 cucchiai rasi di pecorino grattugiato
  • 4 mezzi pomodori secchi
  • 2 cucchiai di olio evo
  • 2 fette sottilissime di provolone semipiccante
  • 1/2 bicchiere d'acqua

Ponete le melanzane tagliate a metà e incise in modo da formare una "graticola" sulla loro superfice, sulla griglia del forno a 180° per 20 minuti circa. Nel frattempo infilate nel mixer il pane integrale, aggiungete il pecorino, i pomodori secchi e il mezzo bicchiere d'acqua. A questo composto aggiungerete, una volta che le melanzane saranno cotte (ben sode mi raccomando), la polpa prelevata dalla parte a "graticola" con uno scavino o cucchiaino, privata della maggior parte dei semi. Fate andare con piccoli copletti il mixer e ponete la pappetta così ottenuta nelle "scarpette" di melanzana che avrete tenuto da parte. Pennellate con i 2 cucchiai di olio evo una pirofila, adagiatevi le melanzane molto "strette" una accanto all'altra, e su ognuna ponete un pezzetto di provolone semipiccante (fatevi tagliare delle fette sottilissime, tipo sottiletta, dal salumiere con l'affettatrice). Infornate per 10 minuti, dei quali gli ultimi 3 in modalità "grill".
In fondo, a fare sta dieta, ci sto prendendo gusto!

giovedì, settembre 07, 2006

Fast food

Lo so, dal titolo sembra che oggi voglia proporre hamburger plastificati, patatine di gesso e aromi con sigle che sembrano (sono?) formule chimiche.
Invece la rapidità, risiede un po nella esecuzione decisamente veloce di questo dolce ma sopratutto nel non potermi dilungare come di consueto in chiacchiere e sciocchezze prima di parlare di cose serie (il cibo).
Vengo subito al sodo dunque con la ricetta di questa Tarte tatin di uva e amaretti per la quale vi occorrono (stampo da crostata da 28-30 cm) :
  • 500 gr di pasta frolla
  • 500 gr di uva
  • 2 cucchiai di zucchero
  • 25 gr di burro
  • 5 savoiardi sbriciolati
  • 5 amaretti sbriciolati
  • 4-5 cucchiai di succo d'uva

Pennellate lo stampo da crostata con il burro morbido, e cospargetene l'intera superfice con lo zucchero. Caramellate a fuoco vivace ma diffuso con una retina. Non appena scurisce, versateci sopra l'uva, lavata, privata dei semi e con gli acini divisi a metà. Cospargete l'uva con una "pappetta sbriciolosa" formata da savoiardi, amaretti e succo d'uva. Richiudere con la pasta frolla avendo cura di spingerla dentro i bordi e di pareggiarne bene il fondo con le mani. Cuocere in forno preriscaldato a 180° per 20-30 min (lo so che sono pressappochista ma dipende dai forni...) fino a quando la frolla non imbiondisce e si vede il caramello formare lievi bolle sui lati. Sfornare e farla raffreddare appena prima di sformarla su un piatto da portata, perchè se il caramello indurisce...addio tatin!

E' deliziosa consumata anche tiepida; e del resto, se uno ha fretta...mica può star lì a farla raffreddare no?

sabato, settembre 02, 2006

Variazioni sul tema

Amo le "variazioni" quanto detesto le imitazioni. E questo vale per ogni settore, nella musica, nella letteratura, nell'arte e ovviamente nella cucina.
La variazione è nobile, colta, si serve della citazione, modifica ma omaggiando l'originale. L'imitazione è sciatta, volgare e anche un pò "furbetta del quartierino"; perchè ciò che riproduce, è adoperato senza creatività, senza l'intento di costruire qualcosa. L'imitazione è sterile quanto la variazione, con la trasformazione che produce, è fertile. Un giorno ho letto che "non esiste alcun processo conoscitivo che non abbia al suo interno l'obbiettivo di trasformare ciò che si conosce"; ecco, la variazione funziona così: trasforma ma partendo dalla conoscenza di ciò che vuol variare; e forse varia proprio perchè conosce.
In cucina di imitazione ce ne è tanta, dagli ingredienti, dove "il simil-burro che sembra burro" e il "quasi-olio che sembra vero" si sprecano, a vari preparati che sulle scatole di cartone "sembrando proprio" lasagne, cotolette, caciucchi etc...
Però per fortuna c'è tanta, tantissima variazione, al punto che è proprio nello spirito del "trasformare per conoscere & conoscere per trasformare" che la buona cucina prospera.
Come sapete, La Cuoca è a dieta. Pertanto le uniche "trasformazioni" che le sono consentite ultimamente, sono quelle in chiave light. Quando poi si tratta di ricette originali di mia suocera, il processo di "lightizzazione" si rende più che mai necessario.
Se lei ora leggesse queste parole si incavolerebbe a morte; perchè è convinta di cucinare leggero come una piuma. Ma del resto da una persona che è persuasa che le olive condite siano ipocaloriche perchè "tanto è verdura", devi necessariamente aspettarti una ricetta come Crema panna e peperoni (fritti), che lei adopera per condirci la pasta, e che nelle mie mani è diventata una Crema di peperoni arrostiti e caprino. E poichè il tema è la variazione, da condimento per la pasta, modificando il tipo e la quantità di formaggio, è diventata un "spalmino" fantastico con il pane di segale. Per realizzarla occorrono:
  • 1/2 chilo di peperoni rossi
  • 150 gr di caprino
  • pepe nero macinato
  • 80 gr di parmigiano grattugiato fine
  • 2 cucchiai di latte scremato
  • sale
  • pepe nero macinato al momento
  • erba cipollina

Grigliate leggermente i peperoni con una piastra, in modo che il filetto resti carnoso e la pelle venga via facilmente. Metteteli in un mixer con il caprino, il latte, il parmigiano, il sale e una macinata di pepe, e amalgamate. Trasferite in una scodellina e decorate con l'erba cipollina.

Però si potrebbe anche sostituire il caprino con la ricotta per un sapore più delicato, oppure allungando con del latte scremato, si potrebbe ottenere una specie di gazpacho da gustare con dei tocchetti di pane integrale, oppure si potrebbe provare a farlo con della zucca al posto dei peperoni, o anche...